Da sempre l’uomo è portato a interrogarsi sull’origine della vita sulla Terra. Charles Darwin, in una lettera del 1844 indirizzata a Joseph Dalton Hooker, sosteneva che la vita fosse cominciata “in qualche piccolo stagno tiepido”, il celeberrimo “brodo primordiale”. Da lì, la riflessione non si è mai interrotta, con un susseguirsi di ipotesi ed esperimenti per comprendere – e magari tentare di ricreare – le condizioni che, circa quattro miliardi di anni fa, hanno acceso la scintilla della vita sul nostro pianeta. Un contributo significativo arriva ora da uno studio coordinato dall’Università di Trento che ha conquistato nelle scorse settimane la copertina di Pnas, il peer reviewed journal della statunitense National Academy of Sciences.

L’obiettivo

“Il nostro obiettivo – racconta Silvia Holler, ricercatrice UniTrento e principal investigator dello studio – era esplorare un nuovo percorso per capire come sia iniziata la vita sulla Terra. In particolare, ci interessava approfondire la transizione da un pianeta inorganico e senza vita a un pianeta organico, ricco e vivente”. Per raggiungere questo risultato, è stato necessario mettere insieme competenze diverse: quelle biochimiche della stessa Holler, di Richard J. G. Löffler, Federica Casiraghi e Martin M. Hanczyc, tutti afferenti al Dipartimento Cibio dell’Università di Trento; ma anche quelle in astrobiologia di Stuart Bartlett del California Institute of Technology, e quelle in geologia di Claro Ignacio Sainz Diaz e Julyan H. E. Cartwright dell’Università di Granada.

Silvia Holler, ricercatrice UniTrento.

L’ambiente creato per riproporre le condizioni necessarie allo scoccare della vita è quello delle “bocche idrotermali”, sorgenti di acqua calda alimentate dai vulcani sottomarini. Il gruppo di ricerca ha verificato come le strutture inorganiche presenti in un ambiente di questo tipo possano incorporare molecole organiche fino a formare nuove strutture ibride inorganiche-organiche. Queste possono poi a loro volta supportare e promuovere la formazione di membrane primitive simili a cellule, le strutture alla base di ogni essere vivente.

Le prospettive

“Le prospettive della ricerca – prosegue Holler – sono moltissime. Ad esempio, potrebbero essere analizzate librerie di composti più ampie rispetto a quelle utilizzate fino ad ora, sia per la creazione di strutture inorganiche, sia per quanto riguarda i composti organici che vanno ad interagire con esse. Potrebbero inoltre essere testati altri fattori e valutata la stabilità delle protocellule rispetto a variazione di temperatura o di pH. Le applicazioni possibili sono tante e spaziano dal ricreare la vita in futuro su altri pianeti, fino all’utilizzo delle protocellule per migliorare l’efficacia e la precisione dei farmaci all’interno del corpo umano. Noi abbiamo aperto la strada, il cammino da percorrere è ancora lungo, ma decisamente promettente”.