Lo screening neonatale è fondamentale per una diagnosi precoce di patologie gravi come l’atrofia muscolare spinale ed una presa in carico efficace delle persone colpite da questa malattia genetica rara e il risultato dell’attività svolta dalla regione Lazio rappresenta un modello che può essere replicato a livello nazionale. È questo, in sintesi, il messaggio lanciato dal convegno Screening Sma: da laboratorio regionale a realtà nazionale inserita nei Lea. Per Alessio D’Amato, assessore alla Sanità Regione Lazio, “sullo screening neonatale la Regione Lazio può dirsi con orgoglio precursore perché ha saputo ascoltare le istanze dei familiari, relazionandole con il sistema sanitario e con le industrie farmaceutiche. Siamo partiti con un biennio di sperimentazione insieme alla Toscana con la quale rappresentiamo il 60% dell’export farmaceutico italiano. Da questo lavoro sono stati individuati 18 casi a cui è stata cambiata completamente la vita”. “L’obiettivo è ora quello di estendere sul territorio italiano questo modello di screening regionale. Il nostro è stato un modello vincente perché abbiamo fatto sistema coinvolgendo centri clinici e operatori, reti dei pediatri ma soprattutto le famiglie, perché sono state loro lo stimolo più importante. Più riusciamo precocemente ad intercettare certe patologie e meno abbiamo conseguenze negli anni sull’intero sistema sanitario”, ha concluso D’Amato.

In Lazio sensibilità oltre i numeri

Soddisfazione condivisa anche da Giuseppe Quintavalle, direttore generale Policlinico Tor Vergata: “Siamo felici che il Lazio abbia messo in campo anche per le malattie rare una sensibilità che va oltre ai numeri. Occorre lavorare su una sempre più forte sinergia fra ospedali, territori e il privato accreditato che rappresenta una ricchezza infinita. Un Policlinico Universitario, attraverso ricerca didattica e assistenza, puó dare quelle linee tecniche sanitarie mancanti sul fronte della presa in cura dei pazienti. Possiamo non solo esportare modelli ma anche replicare successi come quello raggiunti in questi anni dalla Regione Lazio”. Quello della sinergia fra pubblico e privato è un nodo importante, come sottolineato da Paola Marcon, direttore della ricerca clinica di Biogen: “Esiste un percorso lungo per portare un potenziale trattamento di cura all’approvazione poiché occorrono almeno 10-15 anni e per questo è fondamentale promuovere la sinergia e porre attenzione sul fattore tempo, come dimostra la Sma nel trattamento precoce delle patologie individuate attraverso gli screening. Per la Sma abbiamo potuto lavorare in sinergia con il pubblico, mettendo in campo un progetto di screening che ha portato risultati importanti”. 

Antonio Angeloni, direttore Uoc-patologia clinica del Policlinico Umberto I e responsabile screening neonatale Regione Lazio, ha evidenziato come “l’adesione allo screening è passata dall’80% al 98,5%. Si tratta di un test genetico che richiede un consenso informato ma ció nonostante il risultato raggiunto è importantissimo”. Un ruolo fondamentale nello screening neonatale lo svolgono certamente le famiglie, come testimoniato da Anita Pallara, rappresentante delle Famiglie Sma: “Attraverso lo screening possiamo sapere cosa ci aspetta, quali patologie e le possibili cure che possiamo intraprendere. Siamo soddisfatti di quanto fatto nella regione Lazio e vorremmo che questo modello venisse sviluppato anche nel resto del Paese, per colmare il divario che ancora esiste in molti territori sul fronte delle cure e dell’assistenza”. 

I numeri

La Sma è una malattia rara e degenerativa di origine genetica che comporta la mancata acquisizione o la perdita di abilità motorie a causa della carenza di una proteina (SMN) fondamentale per la sopravvivenza delle cellule nervose (i motoneuroni), che controllano la contrazione muscolare. La patologia è generalmente classificata in diverse tipologie sulla base dell’età di esordio e della massima capacità motoria acquisita dal paziente. La Sma colpisce 1 su 6.000 nuovi nati, rappresentando il secondo disordine neuromuscolare più frequente in età pediatrica e la prima causa genetica di mortalità infantile. Lo scenario della cura della Sma è in forte evoluzione terapeutica e gestionale e la ricerca scientifica ha aperto prospettive impensabili fino a pochi anni fa. La diagnosi precoce gioca tuttavia un ruolo fondamentale, per una presa in carico tempestiva e una massimizzazione quindi di benefici terapeutici per il potenziale miglioramento della qualità di vita delle persone colpite dalla malattia. Su queste basi, nel 2019 è stato iniziato un progetto pilota di screening neonatale per la Sma, coordinato dall’Università Cattolica del Sacro Cuore e realizzato in collaborazione con i centri nascita di Lazio e Toscana, le istituzioni regionali, il sostegno dell’associazione Famiglie Sma ed il supporto di Biogen. L’implementazione dello screening neonatale ha ottenuto importanti risultati, approfonditi durante il convegno: i bambini con diagnosi predetta di Sma grave, che avrebbero avuto una aspettativa di vita inferiore ai due anni per la storia naturale della malattia, hanno avuto l’opportunità di una diagnosi e presa in carico tempestive permettendo così, nella maggior parte dei casi, il raggiungimento di tappe di sviluppo motorio sovrapponibili a quelle dei bambini non affetti, fino ad acquisire la deambulazione autonoma.