L’oncologia romagnola è un modello gestionale innovativo e virtuoso che può essere preso, ad esempio, in altre zone del nostro Paese. Nelle tre province di Ravenna, Forli-Cesena e Rimini ogni anno si registrano 8.000 nuovi casi di cancro con forte soddisfazione e alti livelli di sopravvivenza dei pazienti. Il merito di questo successo è da ricercare nell’ottima risposta che le strutture già oggi garantiscono ma che un più forte collegamento tra le attività dell’Istituto tumori della Romagna Dino Amadori e l’Ausl della Romagna (una delle più grandi d’Italia) può far crescere. E’ quanto emerso dal congresso sul Comprehensive Cancer Care and Research Network della Romagna che si è svolto in questi giorni a Forlì.
Fulcro dell’assistenza
“L’istituto punta ad essere il fulcro dell’assistenza ai pazienti oncologici in Romagna – afferma il professor Giovanni Martinelli, direttore scientifico dell’Istituto -. L’idea vincente è nata da un’intuizione geniale del fondatore dell’Istituto romagnolo, il professor Dino Amadori che è scomparso due anni fa. Bisognava, secondo lui, creare una struttura che vedesse un IRCCS specializzato in onco-ematologia integrato con le strutture ospedaliere e le cure territoriali. Si trattava di una giusta visione in quanto è stato dimostrato che grazie ad un reale collegamento tra ospedale e territorio è possibile garantire ad ogni cittadino una migliore assistenza. Nelle nostre tre provincie da anni, grazie all’Ausl Romagna e a IRST, garantiamo a tutti prevenzione oncologica, screening precoci, terapie efficaci, esami di follow up puntuali e sostegno ai pazienti in fase critica avanzata. Con il CCCRN abbiamo creato delle piattaforme comuni per dare le stesse opportunità anche a tutti i medici specialisti e ai ricercatori. L’innovazione e il trasferimento delle conoscenze a tutti i professionisti sanitari vanno poi a vantaggio dei malati che possono ottenere così trattamenti e strategie di prevenzione più personalizzati”.