Pronto il primo farmaco contro l’epatite Delta. Il trattamento finora si è basato sull’interferone, con controindicazioni ed effetti collaterali. Questo nuovo approccio terapeutico costituirà una svolta rivoluzionaria per i pazienti affetti da questa patologia, poiché ha la capacità di bloccare la replicazione dell’infezione permettendo loro di sopravvivere. Il farmaco è stato già approvato a livello europeo, mentre si è in attesa del parere di Aifa. Queste novità saranno al centro oggi e domani del 54° Congresso nazionale Aisf – Associazione italiana per lo studio del fegato.
Epatite Delta, progressione e conseguenze
L’epatite Delta si manifesta solo nelle persone affette da epatite B. Si stima che nel mondo ci siano 10-20 milioni di soggetti coinvolti e che circa il 10% di coloro con epatite B abbiano anche la Delta, sebbene in tanti non ne siano consapevoli. In Italia si stima che siano affette da HDV circa 15mila persone. “L’epatite Delta è, tra le diverse epatiti, la più severa in quanto progredisce assai rapidamente, fino a 10 volte di più rispetto all’Epatite B – sottolinea il professor Alessio Aghemo, segretario Aisf –. L’infezione provoca un’infiammazione cronica che genera necrosi, le cellule epatiche vanno incontro a mutazioni genetiche, che alla fine determinano un clone cellulare che si espande fino a diventare epatocarcinoma. Se per l’epatite B esistono trattamenti efficaci, finora non si è potuto dire altrettanto per la Delta. Inoltre, vi è il problema della rilevazione: meno di un paziente su due con HBV è testato per la Delta. Anche nei centri epatologici spesso c’è poca formazione, sebbene siano sufficienti semplici esami del sangue per diagnosticarla. Questo fa sì che vi sia un notevole sommerso e che le diagnosi siano spesso tardive, lasciando che il virus danneggi il fegato e che, tra coloro che non sono protetti da vaccino, si diffondano i contagi, che possono avvenire per via parenterale e sessuale”.
La novità terapeutica
L’unico farmaco finora disponibile è stato l’interferone, pur con effetti collaterali e non utilizzabile in soggetti anziani e malati gravi. Per questo la novità terapeutica rappresenta un grande successo per la comunità epatologica. “Il nuovo farmaco bulevirtide è unico per meccanismo d’azione e somministrazione. Rappresenta un progresso rivoluzionario perché permette di trattare anche senza interferone pazienti che prima non potevano ricevere alcuna terapia – evidenzia il Pietro Lampertico, professore ordinario di gastroenterologia all’Università degli Studi di Milano –. Gli studi in monoterapia suggeriscono la possibilità di avere per adesso alla settimana 24 una riduzione di circa 2-2,5 logaritmi di viremia, con una risposta virologica nel 50% e una risposta biochimica nel 50% dei pazienti. Gli studi vanno avanti e al prossimo Congresso di giugno dell’Associazione europea per lo studio del fegato verranno presentati i dati alla settimana 48 dello studio registrativo del farmaco in monoterapia. La possibilità di dare questo farmaco a pazienti non trattabili con interferone rappresenta la prima e unica alternativa al trapianto di fegato, garantendo loro la sopravvivenza. I pazienti affetti da epatite Delta, così come quelli che hanno Epatite B, non possono guarire definitivamente, ma già questo risultato è straordinario, tanto più che spesso l’identikit del paziente affetto da questa patologia riguarda persone di 45 anni, frequentemente di sesso femminile, che muoiono di scompenso o di cancro. Un farmaco che blocca la replicazione del virus normalizza le transaminasi e aumenta la sopravvivenza. Il futuro sarà caratterizzato da terapie di combinazione tra diversi farmaci che sono attualmente in studio”.
La vaccinazione
I numeri limitati in relazione all’epatite Delta nel nostro Paese sono legati alla vaccinazione contro l’epatite B, obbligatoria per i nuovi nati dal 1991. “L’Italia è stata uno dei paesi pionieri nel rendere obbligatoria la vaccinazione per l’epatite B, che previene ovviamente anche l’epatite Delta, tanto che siamo uno dei pochi paesi con un tasso di vaccinazione per epatite B nei nuovi nati superiore al 90% – spiega il professor Aghemo -. Per questo nella popolazione tra 0 e 40-45 anni questo virus è quasi del tutto assente e ancor meno si manifesta la Delta. Queste epatiti, invece, si riscontrano soprattutto nei giovani non nati in Italia o nella fascia over 45. In altri Paesi, come quelli dell’est Europa, c’è un tasso di vaccinazione più basso e una prevalenza più alta”.
Il Congresso
Il 54° Congresso nazionale Aisf si tiene a Roma oggi e domani presso il Centro congressi “Auditorium della tecnica” Viale Umberto Tupini 65. I nuovi approcci terapeutici per le Epatiti rappresenteranno uno dei temi principali; il dibattito sull’HDV sarà avvalorato dal contributo di Mario Rizzetto, professore ordinario di gastroenterologia dell’Università di Torino, scopritore dell’infezione nel 1977. Numerosi gli altri argomenti che verranno affrontati: l’epatocarcinoma e le nuove opportunità terapeutiche, l’importanza della nutrizione e di un corretto stile di vita per prevenire danni al fegato, nuove cure per la malattia di Wilson, la centralità italiana negli studi epatologici con particolare attenzione all’ipertensione portale, l’importanza dell’approccio multidisciplinare nell’affrontare le patologie relative al fegato.