Uno studio sull’ipossia intrapartum, realizzato dal gruppo della Clinica ostetrica dell’università di Parma, con il coordinamento di Tullio Ghi, docente di ginecologia e ostetricia, è stato pubblicato dall’International Journal of Obstetrics and Gynaecology, ritenuta la più importante rivista internazionale di ostetricia. La ricerca, partita dall’interrogativo se sia possibile predire il rischio di gravi complicazioni neonatali, utilizzando un approccio innovativo nell’analisi dei tracciati del cuore fetale, registrati in sala parto, avrebbe dimostrato che se il feto giunge al parto in condizioni di buona ossigenazione avrebbe la capacità di tollerare molto bene un’eventuale ipossia del travaglio di parto e, pur se presenta acidosi metabolica alla nascita, il rischio di danni cerebreali o di morte sarebbe molto basso. Viceversa, il bimbo nato con ipossia e acidosi sul cordone che presentava sul tracciato di ammissione al travaglio dei segnali di ridotta ossigenazione avrebbe una probabilità molto più alta di andare incontro a gravi complicazioni dopo la nascita. Come confermato da una nota dell’università di Parma, lo studio rappresenta un importante passo avanti nella comprensione dei meccanismi responsabili della tolleranza del feto alla grave ipossia intrapartum, un’evenienza che si realizza in circa 2 parti su 1.000 e che può essere responsabile della morte o della paralisi cerebrale infantile. Per prevenire queste gravi complicazioni, i feti, durante il parto, vengono sottoposti a controllo della frequenza cardiaca mediante registrazione continua, ma la lettura del tracciato con i sistemi classificativi tradizionali non è semplice e non consente di identificare con accuratezza i casi che presentano realmente un’ipossia e tra questi quelli che sono a maggior rischio di complicazioni. Una recente classificazione dell’analisi dei tracciati cardiotocografici basata sulla conoscenza della fisiologia del cuore e del cervello fetale sembra più accurata nell’identificazione dei bimbi che presentano una sofferenza ipossica durante il parto. Lo studio multicentrico condotto dal gruppo di Ghi dimostrerebbe che grazie a questa nuova classificazione è possibile predire gli esiti dei bimbi nati con ipossia e fornire importanti informazioni prognostiche ai genitori e ai neonatologi.