Tranne alcune lodevoli eccezioni, le Regioni sono indietro nei progetti di screening dell’epatite C della popolazione. Esistono alcune iniziative isolate, ma resta molto da fare: per raggiungere i cittadini sul territorio i medici di famiglia possono svolgere un ruolo di primo piano. “Le Regioni devono attuare gli screening con piani operativi – sottolinea Alessandro Rossi, responsabile ufficio di presidenza della macro-area patologie acute della Simg e segretario regionale Simg Umbria –. Il medico di famiglia può essere di grande supporto, ma servono codici precisi e canali preferenziali, visto che con i nati nelle coorti ‘69-’89 si fa riferimento ad un’ampia parte di popolazione. Serve un sistema informatico che ricordi quali siano i soggetti candidati agli screening; una via preferenziale per poter esortare il paziente a effettuare questo controllo; una modalità automatica per screening di secondo livello che determinino la viremia e per avviare al linkage-to-care; la gratuità, che garantita dai fondi già stanziati; la semplicità, che deve valere anche per il paziente, il quale deve confrontarsi con una burocrazia ridotta al minimo. Infine, trattandosi di un approccio di squadra, nei gruppi di lavoro che si stanno istituendo all’interno delle regioni diventa opportuna una rappresentanza della medicina generale. Tra gli strumenti che possiamo mettere in campo, vi è anche la cartella clinica, che aiuta a individuare i pazienti in base ai fattori di rischio e permette di ottenere informazioni sull’interpretazione delle linee guida e sull’indice di vulnerabilità di ciascun individuo. Ne risulta una conoscenza approfondita utile per definire un’auspicata estensione degli screening ad altre popolazioni oltre a quelle già identificate dalla legge”.

Per il video servizio:https://youtu.be/p1AmXMGoaao