Oltre il 7% della popolazione, in Italia, è colpito da malattia cronica renale. È quanto evidenzia Fadoi, Federazione delle Associazioni dei dirigenti ospedalieri internisti. È in arrivo, per una diagnosi precoce, la ‘Scheda nefrologica’, un nuovo strumento rivolto a medici di famiglia, internisti, diabetologi e altri professionisti sanitari, utile a favorire il rinvio tempestivo ai nefrologi per la diagnosi precoce di malattia renale cronica e relative complicanze, tra cui l’anemia. L’iniziativa è nata dal confronto tra i rappresentati dei medici e dei pazienti e oggi viene presentata e proposta alla comunità scientifica nazionale in una conferenza stampa. Rientra nel progetto Kan (Kidney Anemia Network) ideato e gestito da Isheo, e realizzato con il contributo non condizionante di Astellas Pharma Spa “La malattia renale cronica è un problema di salute che interessa oltre il 7% della popolazione italiana – afferma Dario Manfellotto, Dipartimento di medicina interna dell’ospedale Fatebenefratelli di Roma e presidente della Federazione delle Associazioni dei dirigenti ospedalieri internisti -. Dalla patologia possono nascere diverse complicanze, tra cui l’anemia che riguarda in totale oltre il 20% dei casi. I dati epidemiologici dimostrano come l’incidenza della malattia stia aumentando soprattutto a causa dell’invecchiamento della popolazione”.

Rischi danni renali

“Lo stesso vale per tutte quelle diverse condizioni cliniche che portano ad un rischio di danno renale, come il diabete, la sindrome metabolica, l’ipertensione o la dislipidemia – prosegue – Per contrastarla diventa così indispensabile la fase della diagnosi che deve essere quanto più è possibile precoce. A tale scopo abbiamo deciso di creare, nell’ambito del progetto Kidney Anemia Network (Kan), una scheda di valutazione per la pratica clinica quotidiana, semplice ma efficace. Attraverso pochi quesiti e la misurazione di parametri prestabiliti e condivisi è possibile favorire la tempestiva individuazione dell’anemia che contraddistingue la malattia renale, complicandone l’evoluzione. La complessità del malato nefropatico deve essere vista in un’ottica di approccio clinico globale nel quale il ‘riferimento’ ad un altro specialista avviene in modo collaborativo e non sostitutivo o alternativo, esaltando le rispettive competenze, perché in una medicina moderna il rapporto non può essere separato, e ciò che serve in ospedale e sul territorio è la collaborazione fra i vari specialisti e il medico di medicina generale. “Infine, è molto importante anche il ruolo della formazione che deve avvenire su criteri condivisi della patologia e coinvolgere anche i medici di famiglia”.

Patologia asintomatica

“Si tratta di una patologia asintomatica, che si manifesta con sintomi importanti solo quando la riduzione della funzione renale è estremamente avanzata, quando si ha già la comparsa di complicanze, prima fra tutte la presenza di anemia. C’è ancora tanta patologia renale non diagnosticata, ed il nostro servizio sanitario deve ancora compiere importanti passi in avanti in modo tale da avviare il paziente ad un trattamento tempestivo – sostiene Stefano Bianchi, direttore Uoc nefrologia e dialisi, area livornese Sud, azienda sanitaria Toscana Nordovest -. Un altro dei motivi per cui la malattia renale cronica viene diagnosticata ‘troppo’ tardi, è il tardivo riferimento del paziente con malattia renale al nefrologo da parte dei distretti sanitari territoriali e da altri specialisti. Su questo anche la nefrologia deve impegnarsi di più per creare ponti con le altre figure professionali, lavorare sempre più trasversalmente. La strategia di condividere profili di malati a rischio tra i vari specialisti che possono riferire in tempi idonei il malato al nefrologo è fondamentale. In questo contesto, la Scheda nefrologica, può rappresentare uno strumento realmente utile nella pratica clinica ai fini dell’identificazione della patologia, agevolando un sistema di referral appropriato al nefrologo per implementare la diagnosi precoce di malattia renale cronica e delle sue complicanze e contribuendo a rafforzare la collaborazione multidisciplinare nel processo di ottimizzazione del percorso di presa in carico del paziente”.