Le Regioni a statuto speciale (ad eccezione della Sicilia per la quale sono state operate le riduzioni previste) sono rimaste escluse dalla ripartizione delle risorse stanziate a livello nazionale per gli screening necessari per trovare i soggetti affetti da Epatite C. Una grave mancanza, in un contesto già critico per la pandemia e in cui la necessità di far emergere il sommerso dell’HCV è indispensabile per raggiungere l’obiettivo fissato dall’Oms per il nostro Paese di eliminare l’epatite C entro il 2030. La Sardegna ha risentito inevitabilmente di questa mancanza; ciononostante, ha messo in atto singole iniziative tese a favorire l’emersione dei soggetti infetti in particolare sulle categorie di soggetti a più elevato rischio di positività, come detenuti e tossicodipendenti. La Sardegna è stata una delle quattro regioni – insieme a Piemonte, Emilia-Romagna, Puglia – su cui si è soffermata l’analisi del progetto CCuriamo, ideato e gestito da Isheo, con il contributo non condizionante di Gilead Sciences, che da maggio si propone di monitorare e incoraggiare le politiche regionali in tema di lotta all’epatite C.

Alto tasso di tossicodipendenza

“La Sardegna è una regione che storicamente presenta un alto tasso di tossicodipendenti per via endovenosa. A contribuire a questo fenomeno è anche l’alto tasso di utilizzo di superalcolici – spiega il professor Sergio Babudieri, direttore della clinica di malattie infettive e tropicali dell’azienda ospedaliero universitaria di Sassari e direttore scientifico della Società italiana di medicina e sanità penitenziaria –. La combinazione di questi due fattori ha provocato una grande circolazione di virus a trasmissione ematica, principalmente HIV e HCV. Il problema principale risiede nella difficoltà di stimare precisamente i pazienti sommersi. In mancanza di attività ufficiali e di un piano coordinato, abbiamo avviato alcune iniziative isolate. Gli allievi della nostra scuola di specializzazione possono frequentare sia gli istituti penitenziari che i SerD, monitorando le rispettive popolazioni grazie all’utilizzo di test rapidi, come il cosiddetto ‘pungidito’. In questo modo sensibilizziamo i giovani e otteniamo risultati, seppur parziali, per valutare l’efficacia di questo tipo di ricerca”.

Il professor Sergio Babudieri.

Lo studio sui detenuti

La Sardegna è stata recentemente coinvolta anche in uno studio nazionale che ha monitorato anche gli istituti penitenziari delle regioni Lombardia, Liguria, Lazio e Campania (in particolare le carceri di Alghero e Sassari, Milano, Civitavecchia, Genova, Salerno ed Eboli), per un totale di otto strutture. Gli screening in queste carceri hanno evidenziato solo un 40% di pazienti viremici tra i positivi allo screening HCV, nonostante ci si aspettasse una percentuale superiore – aggiunge Babudieri –. Trattandosi di centri di eccellenza, un linkage-to-care bidirezionale tra carcere e SerD era già esistente, garantendo in questo modo un monitoraggio costante dei pazienti e una continuità nella terapia. Questi risultati ci incoraggiano a proseguire su questa strada, applicando tale metodo a livello nazionale; occorrono però input nazionali e regionali per consentire coordinamento e unicità nel procedimento”.

Per il video servizio:https://youtu.be/Wa1yx3X1HOg