Attraverso il ‘Modello di Taylor’ il professor Luigi Pastorelli, direttore tecnico del gruppo Schult’z, ha dimostrato che l’antagonismo è non solo cosa diversa dal conflitto, ma appare quando la risposta al conflitto è esclusivamente punitiva o meglio quando non c’è una risposta da parte del decisore istituzionale politico, economico e sindacale. Questo cosa significa? Occorre che il decisore incentivi la persistenza delle ragioni del conflitto, sia esso economico, sociale o ambientale, in ragione del fatto che la sua presenza è il migliore antidoto al manifestarsi dell’antagonismo, che sovente sfocia in episodi di violenza. Pubblichiamo l’articolo del professor Pastorelli che spiega a Medicina24 le risultanze dello studio.
La teoria del rischio
Mi sono chiesto se, contrariamente a quanto sovente si ritiene, non sia interesse del nostro decisore non solo preservare ma addirittura incentivare la presenza nella società di una determinata quota di conflitto, intendendo con tale termine un diffuso dissenso politico, economico, sociale nei confronti delle proprie legittime scelte e decisioni? A questa domanda che caratterizza l’analisi sociologica più evoluta, ho applicato il mio approccio di ‘Teoria del rischio’, e in particolare mi riferisco all’applicazione del ‘Modello di Taylor’ da me redatto nell’ambito della metodicaLaw Engineering Risk-LER. Tale modello dimostra che non solo è controproducente cercare di tacitare, perseguire, criminalizzare il conflitto, in quanto tale atteggiamento determina che sovente esso sfocia in antagonismo che può avere connotazioni violente ed eversive, ma soprattutto il modello attesta il rapporto esistente tra la presenza del conflitto e l’acquisizione di responsabilità civica, di partecipazione, da parte di quegli strati di popolazione che sovente sono esclusi dalle decisioni e marginalizzati, nei confronti di scelte che dovrebbero riguardarli.
Le criticità
In definitiva il modello evidenzia due elevate criticità destinate a caratterizzare i prossimi anni: l’attivazione di atteggiamenti antagonisti e di rabbia che si riscontrano sempre più spesso soprattutto nelle aree periferiche. In questo contesto persiste l’errore metodologico di volerle rapportare/omologare alle dinamiche del centro, ciò determina nei cittadini residenti in tali aree diffusa anomia e rabbia da parte loro, in quanto si sentono inevitabilmente cittadini di serie B. Rispetto a ciò la soluzione indicata dal modello è di fare del conflitto esistente in queste aree il fattore di successo per un nuovo approccio al tema periferia. L’ incapacità delle rappresentanze imprenditoriali e sindacali di comprendere le ragioni e la persistenza di un elevato conflitto rappresentato da coloro che in possesso di una elevata formazione scolastica non accettano più di avere circoscritto il proprio status ed utilizzo professionale esclusivamente in veste di prestatore di forza lavoro. All’origine di questo conflitto vi è quello che è stato erroneamente considerato un atteggiamento choosy da parte dei nostri giovani, al contrario da parte di costoro vi è la non adesione a uno specifico modello economico.
Luigi, sempre lucido nelle tue analisi. Purtroppo studio e comprensione dei rischi non hanno mai ricevuto la giusta attenzione da parte dei decisori politici, inevitabile se l’unico parametro per le decisioni è il dividendo elettorale, con orizzonte temporale a breve termine