“Il percorso di legge sulle malattie rare comincia quasi 3 anni fa e adesso è in Senato. Le cose stanno procedendo velocemente ed entro il mese di ottobre potrebbe esserci l’approvazione definitiva. È una bellissima notizia”. Fabiola Bologna, componente XII Commissione affari sociali) della Camera dei deputati, non nasconde il suo entusiasmo, in apertura del webinar sulle “Malattie rare, focus Emilia Romagna-Triveneto” organizzato da Motore Sanità. Un tema caldo, quello delle malattie rare, in cui se da una parte le associazioni dei pazienti chiedono un’organizzazione più efficace per una migliore presa in carico degli ammalati, dall’altra è alta l’attenzione sulla bozza di legge che si dovrà declinare nelle varie regioni per restare al passo con le esigenze delle malattie rare.

Uniformare il trattamento

”Questa proposta di legge intendeva avere dei principi, primo tra tutti uniformare il trattamento delle malattie rare su tutto il territorio nazionale e di preservare le buone pratiche e i percorsi sviluppati in questi anni da regioni molto virtuose. Con questa legge vogliamo ribadire che i livelli assistenziali di emergenza non vengono aggiornati come dovrebbero, che la rete nazionale e regionale deve essere implementata e coordinata. Inoltre, ci occupiamo di malattie ultra rare, dei tumori rari e del piano diagnostico terapeutico personalizzato. Nella proposta di legge abbiamo inserito il Comitato nazionale, nel quale dovrebbero confluire tutti gli attori principali del sistema, nazionali e istituzionali, scientifici, ordini professionali, regioni, in modo da concertare delle linee di indirizzo che poi vengono declinate nelle varie regioni tramite dei PDTA definiti dai Centri di riferimento, questo perché ognuno possa dare il suo contributo, in modo da formulare linee di indirizzo di programmazione e di appropriatezza per finalizzare fondi e finanziamenti in maniera più coerente” ha spiegato l’onorevole Bologna.

Fondo di solidarietà

Altri aspetti cruciali della proposta di legge: il Fondo di solidarietà per i malati rari e per la ricerca. ”Il Fondo di solidarietà per i malati rari va a favore del diritto all’educazione e all’inserimento lavorativo, per quanto riguarda la ricerca, abbiamo lavorato 8 mesi per riuscire ad avere un finanziamento sia per quanto riguarda il contributo al Fondo per la ricerca per le malattie rare e farmaci orfani sia per avere il credito d’imposta per le aziende pubbliche e private che vogliono investire nella ricerca” ha concluso Bologna. Le Associazioni dei pazienti hanno fatto sentire la loro voce: più centri di riferimento ”I pazienti con patologia rara sono pochi in Italia, dobbiamo fare in modo che possano avere dei centri di riferimento di eccellenza che però non possono essere presenti su piccola scala ma devono per forza essere di carattere interregionale in modo da fare una casistica clinica – ha spiegato Erica Cettul, referente Triveneto Associazione ”Progetto Alice Onlus” -. Possono intervenire come centri hub di eccellenza i centri che effettivamente i pazienti li vedono, li curano, li conoscono e sanno, grazie alla expertice pratica e clinica, dare delle indicazioni a quelli che saranno gli ospedali territoriali. In questo modo, senza dovere fare continui trasferimenti, i pazienti possono essere seguiti a livello locale ma con una supervisione dei medici a livello interregionale”.

L’onorevole Fabiola Bologna.

La diagnosi non sempre arriva in modo precoce perché mancano le competenze specifiche e l’expertice. Secondo Christian Mori, consigliere Associazione famiglie SMA bisogna passare attraverso dei centri di riferimento in cui i casi si vedono più frequentemente. ”C’è la necessità di avere la standardizzazione dell’informazione il più tempestiva possibile. Parlare di rete e di standard di cure è fondamentale, ma è anche importante che ci sia la possibilità a livello regionale che l’informazione, dei medici di medicina generale, pediatri e centri di riferimento, giri in maniera veloce e puntuale, cosa che ancora non avviene”.

Ritardo diagnostico

”Il ritardo diagnostico è un dato di fatto – ha specificato Elisa Rozzi, responsabile per attività trasfusionale, Rete delle malattie rare e rete della genetica, Regione Emilia Romagna -. Il ritardo diagnostico vero che osserviamo è quello che passa dall’insorgenza dei primi sintomi fino all’arrivo al centro di riferimento, cioè esiste un problema nella interpretazione dei ”segni maniglia” che sono talmente vaghi e difficili da leggere parte dei medici di famiglia che non vengono poi riferiti ad un sospetto di patologia. Quindi il vero problema è l’integrazione in questo sistema dei medici di famiglia che, dovendo essere esperti di moltissime patologie, non possono esserlo in modo specifico su tutte le malattie rare”. Secondo Paola Facchin, coordinamento malattie rare Regione del Veneto ”l’interazione con il territorio porta alla vera presa in carico”.