Per le Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali non vi è una prevalenza di genere, visto che vi è un’equa ripartizione tra uomini e donne colpiti. Ciò significa comunque parlare del 50% dei pazienti. Inoltre, la salute femminile si contraddistingue per le peculiarità che attraversano tutto il suo ciclo biologico, dall’infanzia a dopo la menopausa. “Le varie fasi della vita della donna, dallo sviluppo, alla fecondità, fino alla gravidanza, all’allattamento, al puerperio, alla menopausa e all’invecchiamento, si intersecano con le MICI e possono orientare determinate scelte terapeutiche – sottolinea il gastroenterologo Marco Daperno, segretario della Società scientifica IG-IBD –. Per questo è importante creare una sinergia tra diversi specialisti, tanto che abbiamo già sviluppato una sorta di consenso, in corso di pubblicazione, che rappresenta il primo passo per una condivisione di un approccio univoco con le società scientifiche di ginecologia e ostetricia. Oltre alle specificità biologiche, abbiamo tenuto conto anche di un elemento sociale nella scelta di questa campagna. Diverse indagini in Paesi nord europei hanno dimostrato che le assenze lavorative nei soggetti con meno di 40 anni sono significativamente superiori nei pazienti affetti da MICI rispetto alla popolazione generale. È bene ricordare, infatti, che patologie come malattia di Crohn e colite ulcerosa rendono il paziente abile al 100% per il 90% del tempo, ma nel restante 10% si è totalmente disabili. Un’altra considerazione è che durante la pandemia a patire maggiormente le conseguenze sul lavoro sono state proprio le donne. Da questi due dati si evince che donne e pazienti con IBD hanno più difficoltà in ambito lavorativo: si può pertanto supporre con ragionevolezza che le donne con IBD abbiano più problemi degli uomini in ambito socio-lavorativo. A questo quadro si somma la questione culturale, con le donne spesso relegate anche alle questioni domestiche e ulteriormente penalizzate”.

Per il video intervento: https://youtu.be/e_6IGCsscfM