Sono costretti a sottoporsi a trasfusioni di sangue ogni 2-3 settimane per tutta la vita. E ogni giorno devono assumere una terapia per limitare l’accumulo di ferro in organi vitali come cuore, fegato e pancreas. In Italia vivono così circa 7mila pazienti con beta-talassemia, una malattia genetica ereditaria causata da un difetto di produzione dell’emoglobina, la proteina ‘navicella’ che trasporta l’ossigeno in tutto l’organismo. La buona notizia è che “la ricerca scientifica sta rivoluzionando la terapia, perché per la prima volta un nuovo farmaco, luspatercept, ha dimostrato di ridurre il numero di trasfusioni necessarie”, migliorando la qualità delle vita dei malati e limitando l’accumulo di ferro e le sue conseguenze, “con una speranza di miglioramento della sopravvivenza”. Lo sottolineano gli esperti intervenuti a una conferenza stampa virtuale promossa da Celgene, ora parte di Bristol Myers Squibb (Bms), alla vigilia della Giornata mondiale della talassemia. “Nel mondo vivono circa 90 milioni di portatori della mutazione genetica in grado di determinare uno dei tipi di beta-talassemia – spiega Maria Domenica Cappellini, ordinario di Medicina interna all’università Statale di Milano – In Italia i portatori sani sono circa 3 milioni. Se muta un solo gene delle catene beta dell’emoglobina si parla di beta-talassemia minor, che non causa sintomi rilevanti e non ha bisogno di terapia. Se invece sono mutati entrambi i geni delle catene beta che formano l’emoglobina si ha la forma di beta-talassemia major, che presenta un quadro clinico severo, con grave anemia”.