La pandemia sta paralizzando la nostra vita da oltre un anno. E i numeri confermano sempre come l’anziano sia il soggetto più vulnerabile all’infezione e alle conseguenze più gravi della patologia. Tuttavia, l’età anagrafica non può e non deve essere considerata l’unica spiegazione di questi dati. Ad esempio, si è visto che i soggetti maggiormente suscettibili alle conseguenze più gravi del Covid-19 sono anche quelli contemporaneamente affetti da patologie croniche, e più in generale quelli più fragili. La SIGOT – Società Italiana Geriatria Ospedaliera – nell’ambito dei Master 2021, ha promosso un importante momento di riflessione e confronto con la lettura magistrale curata da un “italiano famoso”, a capo della sezione “invecchiamento” del U.S. National Institute of Health americano, Luigi Ferrucci, Direttore scientifico del U.S. National Institute on Aging (Baltimora).

Luigi Ferrucci, Direttore scientifico del U.S. National Institute on Aging di Baltimora.

È di fondamentale importanza riuscire a comprendere quali siano i meccanismi che fanno del Covid-19 il killer perfetto per l’anziano fragile. Una delle ragioni alla base della maggiore vulnerabilità non è tanto la loro età anagrafica, quanto l’età biologica e soprattutto quella del loro sistema immunitario, una condizione che gli scienziati chiamano immunosenescenza. Il sistema immunitario può essere immaginato come una sorta di corpo di polizia ben organizzato e sincronizzato che protegge il nostro corpo dagli insulti esterni.

Il Covid negli anziani

“Nell’anziano la capacità di coordinamento delle “pattuglie”, le componenti umorali e cellulari del sistema immunitario, cioè gli anticorpi e l’attività dei linfociti, rispettivamente, è già di base alterato – sottolinea il dottor Ferrucci -. ll Covid-19 agisce come un uno stimolo esterno aggiuntivo che sovraccarica di segnali il sistema immunitario, determinando da una parte lo scompiglio delle difese immunitarie e dall’altra scatenando l’innesco di uno stato infiammatorio persistente, la cosiddetta tempesta citochinica. Questa che, in teoria, dovrebbe aiutare a contrastare l’infezione, in realtà si rivela nell’anziano fragile la causa del peggioramento delle condizioni generali del paziente, danneggiando innanzitutto il tessuto polmonare, ma anche altri sistemi quali quello cardiovascolare, renale, lo stato coagulativo ed anche il sistema nervoso centrale: ciò spiega perché nell’anziano la malattia Covid-19 provoca sintomi non solo respiratori, ma anche metabolici, trombosi generalizzate, infarto del miocardio e ictus cerebrale, insufficienza renale, encefaliti e delirium, manifestazioni cliniche gravi che possono portare anche alla morte”.

Vaccini e resilienza

“Oggi i vaccini rappresentano la luce di speranza per contenere il contagio – chiosa il professor Alberto Pilotto, presidente SIGOT -, ma potrebbero rappresentare anche una straordinaria strategia di promozione della resilienza, cioè la capacità dell’organismo di reagire all’evento stressante rappresentato dall’infezione da SARS-CoV-2,  bilanciando il sistema immunitario e la risposta infiammatoria”.

Il professor Alberto Pilotto, presidente SIGOT.

“Dati clinici su anziani vaccinati ed anche studi condotti nei laboratori del NIA, presentati dal dottor Ferrucci, sembrano dimostrare – prosegue il professor Pilotto – come in effetti il vaccino anti Covid-19 ristabilisca l’equilibrio del sistema immunitario dell’anziano riducendo il fenomeno dell’immunosenescenza patologica. Tuttavia, la strada per sconfiggere definitivamente il virus è ancora lunga. Resilienza significa anche perfezionare la conoscenza del virus e della sua interazione con l’uomo, migliorare lo screening con metodiche sempre più affidabili e meno invasive, ricercare nuove terapie, capire le conseguenze a lungo termine dell’infezione nei soggetti che sopravvivono all’infezione, ma anche capire l’effetto dell’isolamento sociale con le conseguenze psico-emozionali che risultano particolarmente gravose nell’anziano”.