La pandemia da Covid-19 ha prodotto molte nefaste conseguenze anche nella comunicazione, dichiarando di fatto la crisi del giornalismo scientifico oramai soppiantato dalle riflessioni di qualunque commentatore e dall’improvvisazione di molti cronisti e giornalisti di altri settori. Nel breve arco di tempo di dodici mesi, la ricerca scientifica e gli studi clinici stanno producendo più osservazioni, scoperte, nuovi farmaci e vaccini che in qualunque altro periodo della storia umana. Questa enorme quantità di nuove scoperte pone in maniera drammatica il tema di quali siano le prove, le verità scientifiche alle quali i cittadini, i medici, l’autorità sanitaria, gli studiosi e i media possano accedere con la ragionevole sicurezza di affidabilità e credibilità. “Il problema di una corretta informazione si pone in maniera crescente anche alla luce di singolari prese di posizione di singoli individui appartenenti o meno al mondo della medicina, che diffondono informazioni frutto di opinioni o credenze personali prive di qualunque fondamento scientifico – sottolinea il professor Claudio Cricelli, Presidente SIMG – Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie –. La diffusione di queste informazioni, talvolta tese alla negazione delle conoscenze prodotte dalla comunità scientifica internazionale, genera perplessità e confusione nell’opinione pubblica e nei cittadini, che sono disorientati e talvolta spinti ad applicare soluzioni, terapie empiriche o, peggio, a diffidare delle istituzioni scientifiche ufficiali”.
La legge 24 dell’8 marzo 2017
Pochi in questi mesi hanno ricordato che il nostro Paese si è dotato di una legge che afferma innanzitutto un principio di protezione della salute dei cittadini, la legge 24 dell’8 marzo 2017. Essa ha introdotto alcuni principi fondamentali, che tutelano la sicurezza delle cure e della persona assistita e la responsabilità professionale di coloro che esercitano le professioni sanitarie. Questa legge è costantemente dimenticata nei suoi principi fondamentali in particolare quando dispone che “gli esercenti le professioni sanitarie, nell’esecuzione delle prestazioni sanitarie con finalità preventive, diagnostiche, terapeutiche, palliative, riabilitative e di medicina legale, si attengono, salve le specificità del caso concreto, alle raccomandazioni previste dalle linee guida pubblicate ai sensi del comma 3 ed elaborate da enti e istituzioni pubblici e privati nonché dalle società scientifiche e dalle associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie iscritte in apposito elenco istituito e regolamentato con decreto del Ministro della salute”. Gli esercenti le professioni sanitarie sono pertanto obbligati al rispetto delle disposizioni di legge, che definiscono la “responsabilità penale dell’esercente la professione sanitaria”.
Gli articoli di legge
1. Dopo l’articolo 590-quinquies del codice penale è inserito il seguente: «Art. 590-sexies (Responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario). – Se i fatti di cui agli articoli 589e 590 sono commessi nell’esercizio della professione sanitaria, si applicano le pene ivi previste salvo quanto disposto dal secondo comma. Qualora l’evento si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto».
2. All’articolo 3 del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189,il comma 1 è abrogato.
Tale responsabilità vale per tutti gli esercenti ed in particolare con riferimento alla “Responsabilità civile della struttura e dell’esercente la professione sanitaria”:
1. La struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata che, nell’adempimento della propria obbligazione, si avvalga dell’opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e ancorchè non dipendenti della struttura stessa, risponde, ai sensi degli articoli 1218 e 1228 del codice civile, delle loro condotte dolose o colpose.
2. La disposizione di cui al comma 1 si applica anche alle prestazioni sanitarie svolte in regime di libera professione intramuraria ovvero nell’ambito di attività di sperimentazione e di ricerca clinica ovvero in regime di convenzione con il Servizio sanitario nazionale nonché attraverso la telemedicina.
3. L’esercente la professione sanitaria di cui ai commi 1 e 2risponde del proprio operato ai sensi dell’articolo 2043 del codice civile, salvo che abbia agito nell’adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente”.
“Riteniamo pertanto che gli esercenti le attività sanitarie debbano rispondere sempre ed incondizionatamente al principio secondo il quale l’esercizio della medicina è incompatibile con la negazione delle evidenze scientifiche e che l’inosservanza di questo principio produca confusione e incertezza nei cittadini e quindi possa essere lesiva della loro salute – conclude il professor Cricelli –. In qualità di Società Medico Scientifica accreditata ex legge 24/2017 raccomandiamo pertanto ai cittadini ed ai professionisti sanitari di attenersi nella pratica quotidiana esclusivamente alle raccomandazioni provenienti dall’Autorità Sanitaria pubblica ed alle indicazioni ispirate alle evidenze scientifiche diffuse dalle organizzazioni scientifiche accreditate che fondano la loro attività sul rigore della ricerca scientifica e della scrupolosa osservazione clinica, evitando di affidarsi alle opinioni di singoli professionisti”.