La conferma definitiva arriva sulle pagine della prestigiosa rivista Nature Medicine: le cellule CAR-T GD2, sviluppate e sperimentate all’ospedale pediatrico Bambino Gesù, si dimostrano sicure ed efficaci nel trattamento del neuroblastoma refrattario o recidivante. Lo studio clinico di fase I/II, avviato nel 2018 e ora giunto alla sua analisi finale, conferma e rafforza i dati pubblicati nel 2023 sul New England Journal of Medicine, quando erano stati presentati i primi risultati parziali su un numero più limitato di pazienti (27 invece degli attuali 54).
La strada giusta
Con oltre quattro anni di follow-up mediano, la terapia mostra la capacità di indurre remissioni durature e di migliorare in modo significativo la prognosi di una delle forme di tumore pediatrico più difficili da trattare. In tre sottogruppi di pazienti la terapia ha mostrato, inoltre, tassi di risposta e sopravvivenza nettamente superiori alla media: quelli trattati con un basso carico di malattia, quelli trattati dopo aver fallito al massimo due precedenti linee di terapia convenzionali e quelli i cui linfocitida cui sono state generate le cellule CAR-T erano stati raccolti già al momento della diagnosi, prima dell’esposizione alla chemioterapia. “Abbiamo iniziato questo percorso molti anni fa con l’obiettivo di dare una nuova chance di guarigione ai bambini con neuroblastoma – commenta il professor Franco Locatelli responsabile del Centro studi clinici oncoematologici e terapie cellulari del Bambino Gesù -. I dati pubblicati oggi ci dicono che quella strada era giusta e che siamo sempre più vicini a rendere questa terapia parte integrante delle cure standard”.
Il neuroblastoma
Il neuroblastoma è il tumore solido extracranico più frequente dell’età pediatrica e rappresenta circa il 7-10% dei tumori nei bambini tra 0 e 5 anni. In Italia si registrano ogni anno circa 120-130 nuove diagnosi. Origina dai neuroblasti, cellule del sistema nervoso simpatico, e colpisce più spesso le ghiandole surrenali. Nonostante i progressi terapeutici, le forme ad alto rischio hanno una prognosi ancora sfavorevole: la probabilità di guarigione definitiva con le terapie convenzionali non supera il 45-50%, mentre in caso di recidiva o resistenza alle cure convenzionali la sopravvivenza a due anni resta limitata al 10-15%.
I risultati
Lo studio ha coinvolto 54 bambini in tutto (35 arruolati nella sperimentazione clinica e 19 trattati in regime di esenzione ospedaliera per le terapie avanzate), che sono stati sottoposti all’infusione di cellule CAR-T GD2 prodotte a partire dai propri linfociti e modificate in laboratorio per riconoscere e distruggere selettivamente le cellule tumorali. Nel complesso, due pazienti su tre hanno risposto positivamente alla terapia e il 40% ha raggiunto una remissione completa a sei mesi dall’infusione. I dati sono particolarmente incoraggianti nei bambini trattati con un basso carico di malattia alla dose raccomandata: in questa popolazione la risposta globale ha raggiunto il 77%, con una sopravvivenza a cinque anni del 68% e una sopravvivenza libera da eventi del 53%. Risultati ancora migliori sono stati osservati nei pazienti trattati in fase precoce, dopo una o due linee di terapia, con una sopravvivenza a cinque anni vicina al 90%, contro il 43% dei bambini già sottoposti a tre o più linee di cura. Anche il trattamento in fase di consolidamento, dopo la prima linea e in assenza di malattia evidente ma con alto rischio di ricaduta, ha dato esiti promettenti: sette degli otto bambini trattati in questa condizione (che avevano un atteso di ricaduta in almeno 4 di essi) sono tuttora liberi da malattia, con un follow-up mediano di 15 mesi. Un ulteriore dato di rilievo riguarda i 13 pazienti i cui linfociti T erano stati raccolti già al momento della diagnosi, prima dell’esposizione alla chemioterapia. In questa coorte la sopravvivenza globale a 5 anni ha raggiunto il 100% e la sopravvivenza libera da eventi il 66,5%, contro rispettivamente il 33,2% e il 22,6% dei bambini trattati con cellule prelevate più tardi, al momento della recidiva. La differenza dimostra che l’utilizzo di linfociti non compromessi dai trattamenti citostatici permette di ottenere CAR-T più funzionali ed efficaci, fornendo una forte evidenza per raccogliere cellule già alla diagnosi al fine di aumentare le possibilità terapeutiche future. Il profilo di sicurezza è stato confermato: non sono emersi nuovi segnali di tossicità. Nei rari casi di neurotossicità severa, la condizione è stata completamente risolta grazie all’attivazione del “gene suicida” iC9, che consente di interrompere l’attività delle CAR-T in caso di effetti collaterali gravi. Il trattamento sviluppato al Bambino Gesù è frutto di anni di ricerca e di un lavoro congiunto dell’Officina Farmaceutica e delle aree di oncoematologia, terapie cellulari, terapie geniche e trapianto emopoietico.