Nell’occasione del convegno di Lecce è stata presentata un’istantanea dello stato di salute psico-sociale e delle abitudini di vita degli studenti dell’ultimo anno delle scuole superiori di Padova e provincia, è stato infatti diffuso il primo abstract del report 2024-2025 del gruppo di studio della Fondazione Foresta ETS, coordinato dal professor Carlo Foresta, in partecipazione col professor Andrea Di Nisio, il dottor Pietro Aliprandi e il dottor Michel Martin, nell’ambito del progetto Scuola – Disagio giovanile e cultura della prevenzione, iniziativa che la Fondazione porta avanti da 15 anni. Il cuore dell’indagine è un questionario anonimo somministrato direttamente in aula, tramite QR code, al termine di incontri assembleari: 60 domande su attività fisica, consumo di sostanze, sessualità, ma soprattutto benessere psicologico. Le domande sono state raccolte tra marzo e aprile 2025 negli istituti superiori della rete padovana: dal Nievo al Cornaro, dal Gramsci al Gymnasium, passando per licei, tecnici e professionali, fino al Teatro Farinelli di Este; hanno risposto oltre quattromila studenti dell’età media di 18 anni.
Il quadro
Emerge un quadro preoccupante: il 42% dei figli di genitori separati ha richiesto supporto psicologico, contro una media del 33% nella popolazione giovanile complessiva. Il rischio di uso di psicofarmaci è significativamente più alto tra i ragazzi provenienti da famiglie divise, mentre l’età media del primo rapporto sessuale è più precoce tra coloro che vivono in contesti familiari disfunzionali. Anche la figura paterna mostra segnali critici: nei figli maschi di genitori separati che vivono con la madre (oltre il 90% del campione), il padre viene percepito come indifferente 2-3 volte più spesso e come problematico fino a 5 volte più frequentemente rispetto ai padri conviventi. Secondo gli esperti intervenuti, tra cui il professor Carlo Foresta, già professore di endocrinologia all’Università di Padova e presidente della Fondazione Foresta ETS, e il dottor Pietro Aliprandi, non è l’assenza fisica dei genitori a pesare di più, quanto la perdita della loro funzione simbolica e contenitiva. “Oggi molti ragazzi crescono senza una bussola affettiva – ha sottolineato Aliprandi – non perché manchi la presenza genitoriale, ma perché manca un adulto capace di rappresentare un punto fermo, di dire dei “no” che significano “ti vedo, ti contengo, ti accompagno”.
L’emergenza
Non è però solo la separazione a incidere. I figli di genitori più giovani (under 40) presentano, in media un maggior consumo di alcol e sigarette; un uso più frequente della pillola del giorno dopo; una più alta incidenza di malattie sessualmente trasmissibili; una maggiore propensione a fenomeni come il sexting. “La vera emergenza – ha spiegato Aliprandi – non è la modernità, ma la perdita del ruolo simbolico della figura genitoriale. Senza una narrazione condivisa del cosa significhi essere padre o madre oggi, gli adolescenti rischiano di crescere soli, disorientati, affidandosi al web come unico spazio di confronto”.
Il fumo tradizionale, ad esempio, è stato descritto come un comportamento carico di significati simbolici: una forma di autoregolazione emotiva e di compensazione di carenze relazionali, che assume il valore di un “linguaggio muto” del disagio affettivo. “Un figlio non ha bisogno solo di libertà, ma anche di confini – afferma Foresta –. L’identità si costruisce nella trama di legami significativi, non nell’assenza di vincoli. In questo senso, il fumo tra i giovani, soprattutto quello tradizionale, assume il significato di un gesto simbolico: non solo dipendenza, ma linguaggio muto di una sofferenza relazionale. La sigaretta, spesso, è un appiglio, un “oggetto transizionale” che colma un vuoto affettivo. Il caso del fumo elettronico appare più sfumato. I dati non mostrano differenze nette rispetto ai non fumatori sul piano del disagio emotivo o della richiesta di aiuto psicologico, ma emergono segnali suggestivi. Si potrebbe ipotizzare che, anziché esprimere un vuoto affettivo, come talvolta avviene nel fumo tradizionale, qui il fumo diventi una forma di mediazione: una “oralità socializzata”, più che regressiva, in cui il gesto è veicolo di inclusione, più che sintomo di isolamento”.