I numeri dell’emicrania ci dicono che siamo di fronte ad una patologia che in Italia coinvolge 8 milioni di persone, una malattia di genere, perché tocca molto più le donne e costa complessivamente 20 miliardi l’anno fra spese dirette e indirette. Una vera e propria emergenza di cui si è discusso ieri nel corso di un convegno dal titolo Emicrania. Presa in carico del paziente in Regione Lazio: confronto multi-stakeholder e prospettive future, svoltosi presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma. Si tratta di una patologia su cui la politica nel 2020 ha deciso di intervenire con l’approvazione di un disegno di legge che istituiva la cefalea come malattia sociale. Dal 2020 ad oggi, tuttavia, sono mancati i fondamentali decreti attuativi da parte del ministero della Salute. Come ha spiegato Arianna Lazzarini, deputato della Lega e componente della Commissione affari sociali della Camera, prima firmataria di quel testo di legge, “l’approvazione della legge 81 del 2020 ha rappresentato tanto una bella pagina scritta dal Parlamento quanto un passaggio molto importante per milioni di italiani. Grazie alla ‘legge Lazzarini’, l’Italia è diventata il primo Paese in Europa ad adottare un provvedimento che ha il merito di accendere i riflettori su questa malattia sofferta da circa sette milioni di italiani, con una prevalenza netta di donne e nella fascia 20-50 anni. Una malattia invisibile, che ho voluto far uscire dal cono d’ombra in cui è sempre stata”. Ora, ha concluso Lazzarini, “riparto convintamente in questa nuova legislatura attraverso la necessaria interlocuzione con il governo, anche per quanto riguarda questa legge in particolare”.

Rendere operativa la legge

L’impegno a rendere operativa prima possibile questa legge è confermato anche da Chiara Colosimo, deputato di Fdi e componente della Commissione affari sociali della Camera: “L’emicrania è una patologia identificata come malattia di genere, in quanto colpisce in gran parte le donne. La qualità di vita di questi pazienti è gravemente compromessa e per questo bisogna focalizzare l’attenzione su come si intercettano e si indirizzano i pazienti. Secondo i dati l’emicrania è la terza malattia per frequenza e tra le più inabilitanti, eppure sappiamo che c’è una grande disomogeneità nell’approccio delle Regioni. Solo due Regioni italiane, infatti, riconoscono l’invalidità per le cefalee primarie. Per questo ritengo che sia fondamentale equiparare l’accessibilità alle cure per la cefalea in Italia. Occorre potenziare l’operatività dei centri cefalea, essere sicuri che ci vada chi effettivamente ne ha bisogno”. 

Presa in carico dei pazienti

Un tema, quello della presa in carico dei pazienti, centrale anche nella regione Lazio, come testimoniato da Antonello Aurigemma, consigliere regionale di Fdi, componente della Commissione sanità, politiche sociali, integrazione sociosanitaria, welfare della regione Lazio: “Dal 14 luglio 2020 il ministero della Salute avrebbe dovuto emanare i decreti attuativi in 180 giorni, ma nulla si è fatto e di giorni ne sono passati 863. E questo non solo per un problema di stanziamenti, perché anche senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica si doveva consentire l’individuazione di progetti finalizzati a sperimentare metodi innovativi di presa in carico delle persone affette da diversi tipi di cefalea. Purtroppo, non sono stati fatti passi avanti e questa è una grave colpa, una intollerabile inefficienza della politica”. “Noi, come Regione Lazio, abbiamo provato a imprimere una svolta, ci sono state mozioni, impegni invocati come quello della collega Francesca De Vito, ma sono rimaste carta. E l’emicrania non si cura con i pezzi di carta, i suoi effetti invalidanti che costringono le persone a saltare il lavoro cinque giorni al mese, famiglie intere a vivere la costante ansia dell’attacco che può arrivare non si cura con le mozioni”, ha concluso Aurigemma.  

I dati

L’emicrania è una patologia complessa e multifattoriale di cui soffre circa il 12% della popolazione italiana (8 milioni di persone), per la maggior parte donne, con ricadute spesso importanti sia sulla qualità di vita che sull’attività lavorativa. Il suo impatto socio-economico è infatti molto importante, con una spesa media annua di 2 mila e 600 euro a paziente, dei quali il 5% arriva a perdere più di 5 giorni lavorativi al mese. Una patologia che un Ddl approvato nel 2020 al Senato dovrebbe trasformare in malattia sociale, favorendo la sperimentazione di metodi innovativi per contrastarne i danni per la salute, ma che rischia di restare inapplicato in quanto mancano i decreti attuativi della legge. Il costo medio annuo per ogni singolo paziente in Europa è pari a 1.222 euro, con costi indiretti (assenteismo e ridotta produttività) di gran lunga superiori a quelli diretti (visite mediche, accertamenti clinici, farmaci). L’Italia, al pari di Francia, Germania e Spagna presenta costi diretti ed indiretti pari a circa 20 miliardi di euro all’anno. Esistono poi costi intangibili, di natura psicosociale e riconducibili al dolore, all’ansia e all’impatto emotivo che la malattia provoca all’individuo affetto, che possono essere aggravati da accertamenti inappropriati, diagnosi e trattamento tardivo della patologia.