Nei Pronto soccorso italiani mancano oltre 5.000 medici e 12.000 infermieri, e le attese per un ricovero sono sempre più lunghe. Problemi organizzativi che hanno portato in 10 anni a un raddoppio della mortalità dei pazienti costretti a restarvi, in attesa di un posto in reparto. Per salvarli dalla crisi nella quale sono “sprofondati a causa di decenni di errori di programmazione occorrono decisioni rapide”. A denunciarlo è la Società italiana medicina di emergenza urgenza. I dimessi dopo aver ottenuto cure in Pronto soccorso, secondo i dati Simeu, si stima siano oggi un 50% in più rispetto alla pre-pandemia. L’aumento del numero di accessi di pazienti rispetto al numero dei sanitari impiegati ha portato a un aumento del carico di lavoro per singolo professionista dal 25% al 50%. I pazienti destinati al ricovero in attesa di un posto letto arrivano fino a più di 800 al giorno in regioni importanti come il Lazio, con oltre 600 persone in attesa da più di 24 ore. E l’aumento della mortalità nell’ultimo decennio in Pronto soccorso a causa del mancato ricovero è stata di oltre 100%. “La medicina di emergenza urgenza – spiega Antonio Voza, segretario nazionale Simeu – opera in quel preziosissimo tempo che può fare la differenza tra la vita e la morte di un paziente. Un compito cruciale che richiede specialisti preparati e non lascia spazio all’improvvisazione e all’approssimazione”. Cosa sempre più frequente per la carenza di personale dovuta alla fuga di medici e infermieri dal pronto soccorso e il conseguente sempre maggiore ricorso a esternalizzazioni.
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