“La fibrillazione atriale e l’insufficienza cardiaca rappresentano i principali problemi di salute soprattutto nei soggetti anziani, con una incidenza e prevalenza che tenderà notevolmente ad aumentare nel corso dei prossimi anni in relazione al progressivo invecchiamento della popolazione. Nel caso della fibrillazione atriale l’attuale prevalenza, al disotto del 2% tenderà quasi a raddoppiare entro il 2050. Ma il dato di maggior preoccupazione riguarda la popolazione anziana, con una prevalenza superiore al 15% nei soggetti con età sopra gli 85 anni”. È quanto spiegato dal professor Francesco Vetta, direttore dell’Unità operativa complessa di cardiologia e aritmologia all’IDI-IRCSS, direttore scientifico, insieme al professor Lorenzo Palleschi, direttore dell’Unità operativa complessa di geriatria dell’azienda ospedaliera San Giovanni-Addolorata del congresso di cardiogeriatria, giunto alla XV edizione.

I rischi

“Il rischio maggiore della fibrillazione atriale è rappresentato da eventi ischemici cerebrali o sistemici. Il rischio di ischemia cerebrale è aumentato, infatti, di 5 volte rispetto alla popolazione generale. Il ruolo di prevenzione della terapia anticoagulante, che riduce di circa il 67% tale rischio è ampiamente definito dai dati della letteratura, eppure, ancora oggi, una percentuale elevata di soggetti anziani sono ingiustificatamente esclusi da tale terapia, per timori, molto spesso anacronistici, perché ridimensionati nei trial randomizzati mirati. Anzi l’introduzione degli anticoagulanti diretti ha rappresentato una svolta epocale, stante la miglior maneggevolezza degli stessi, con un beneficio clinico netto che, soprattutto nei soggetti anziani, è maggiore rispetto ai farmaci tradizionali”, ha aggiunto. 

Associazione con insufficienza cardiaca

“Frequentemente la fibrillazione atriale si associa all’insufficienza cardiaca: tale binomio condiziona una prognosi peggiore. L’aspettativa di vita media in un paziente con diagnosi di insufficienza cardiaca è piuttosto bassa: circa il 50% dei pazienti con tale patologia muore entro 5 anni dalla diagnosi. Si consideri che tra i pazienti che si ricoverano per insufficienza cardiaca, circa il 10% muore durante il ricovero, il 30% entro un anno e circa il 25% è costretto ad un nuovo ricovero entro un mese dalla dimissione. Questi episodi acuti influenzano negativamente non solo l’outcome di questi pazienti ma anche la qualità di vita, associandosi ad un peggioramento dello stato funzionale del paziente”, ha proseguito Vetta. “Le recenti innovazioni terapeutiche farmacologiche, associate alle ormai consolidate terapie non farmacologiche, con impianto di device per la resincronizzazione cardiaca e la prevenzione della morte aritmica, permetto sicuramente un miglioramento della prognosi e della qualità di vita dei pazienti, ma è fondamentale ribadire l’opportunità di una prevenzione di tutti i fattori di rischio più importanti: cardiopatia ipertensiva, cardiopatia ischemica, obesità, diabete mellito, tabagismo. Inoltre, è bene sottolineare l’importanza dello stile di vita, con una dieta equilibrata ed una adeguata attività fisica aerobica (anche passeggiate di buon passo). Pertanto, soprattutto in questo periodo, che speriamo tutti possa rappresentare la fine del periodo pandemico, l’invito è sicuramente quello di aprirci nuovamente alla vita, non trascurando i dovuti controlli medici e cardiologici in particolare, per programmare un’adeguata ripresa dell’attività fisica”, ha concluso.