“L’auspicio” è che anche i fondi “che verranno stanziati nel prossimo periodo per rivedere il Servizio sanitario nazionale e le sue articolazioni e la sua presenza sul territorio siano destinati a cambiamenti strutturali che non perdano di vista i territori marginali, sia dal punto di vista geografico sia sociale. In particolare in medicina c’è una nuova centralità nella relazione con la persona”. A dirlo è don Massimo Angelelli, direttore dell’Ufficio nazionale per la Pastorale della salute della Conferenza episcopale italiana, intervenendo al webinar “Approcci innovativi tra etica e morale al tempo della pandemia – Confronto medico scientifico e riflessioni sul diritto alla cura per la vita”.
“L’esperienza della pandemia – aggiunge – ha inciso profondamente sul tessuto organizzativo e gestionale delle strutture sanitarie ma anche nel modo di fare medicina, di fare salute, di prendere in carico le persone. Le relazioni sono la parte più ferita della pandemia, tra coloro che erano dentro e fuori la terapia intensiva, fino a riguardare coloro che hanno accompagnato i loro cari alla soglia del pronto soccorso e non hanno potuto più salutarli visto che hanno ricevuto via telefono la notizia dei decessi. Sono relazioni ferite che chiedono dei ristori”. “Per ristori – prosegue – non intendo soltanto quelli economici ma azioni di cura della società italiana per cui ci facciamo carico di queste ferite e le accompagniamo a una cura e a una guarigione”. Angelelli ha parlato di una “dimensione sociale della pandemia e del vissuto pandemico”. “C’è stata una riscoperta che il bene della salute non è un bene individuale, è un bene comune che va difeso, condiviso”, conclude il responsabile della pastorale della salute della Cei.
Per il video servizio: https://youtu.be/l3Yc_s_nBPg